Giorno della memoria 2012, intervento di katrin himmler
Alimentare la memoria con la testimonianza. Rendere viva la storia e la sua trasmissione. Anna Foa e la sua efficacia nel fare memoria.
I crimini di massa commessi nel
Ai fini di questo blog, che analizza il discorso quando si fa pubblico, abbiamo scelto di non concentrarci sulle testimonianze dirette di chi ha vissuto sulla propria pelle e su quella dei propri famigliari l'esperienza della Shoah. Le testimonianze si prendono come sono, sono preziose per quello che ci portano e per il grandissimo valore di condivisione e di fiducia che implicano.
Per guardare a come il discorso si fa pubblico e provare a ragionare sui discorsi della memoria abbiamo preferito concentrarci sugli altri, quelli che hanno studiato, approfondito e diffuso i temi della Shoah. Molti hanno cercato le parole e le forme per dar vita a un discorso pubblico sulla memoria. Che non sia arido, fine a se stesso, che non si perda e continui a vivere anche oltre l'ultima generazione di testimoni.
Un problema comune che il lavoro sulla memoria della Shoah condivide per esempio con quello sulla memoria della Resistenza e dell'azione partigiana. Se le ricorrenze rimangono tali, ricorrenze, giornate, momenti di ricordo collettivo, ma non si traducono in conoscenza ed esperienza collettiva il loro senso viene meno. In studio, assieme all'ospite di turno e al conduttore, anche gli studenti e le studentesse del centro studi ebraici e di storia contemporanea che prendono parte alla conversazione collettiva.
In due frasi semplici, prive di retorica e di definizioni teoriche, Anna Foa ci consegna immediatamente il senso del fare testimonianza, essenziale per alimentare la memoria, sia quella personale che collettiva. Al termine del primo contributo di Anna Foa la parola passa agli studenti. E il tono e il registro del discorso cambiano immediatamente.
Ma il commento successivo di Anna Foa riporta il discorso nel contesto e sul registro iniziale. La Foa riprende il riferimento fatto da uno degli studenti alle radici ebraico-cristiane e musulmane dell'Europa confutandolo, in modo molto delicato ma altrettanto definito. Lo stesso registro tranquillo e sorridente Anna Foa lo usa per riassumere il senso del suo libro, la raccolta di tante microstorie che ridanno un nome agli abitanti di una casa del Portico D'Ottavia dalla quale i nazisti deportarono decine di ebrei durante il rastrellamento nel ghetto ebraico di Roma il 16 ottobre